Quando il “leccapiedi di regime” Travaglio fustigava chi cercava i “responsabili”, definiti “venduti” e “voltagabbana”
Di Domenico Di Sanzo – Sappiamo benissimo che per Marco Travaglio, direttore del Fatto Quotidiano, i «responsabili» che dieci anni fa consentirono al governo Berlusconi di andare avanti erano dei «venduti» e dei «voltagabbana». A differenza dei parlamentari che ora brigano per salvare Giuseppe Conte. Infatti questi ultimi sono stati definiti gente «con la testa sul collo» da Travaglio nell’editoriale pubblicato sul Fatto il 3 gennaio scorso. Quel che spesso si perde di vista è l’importanza di chi le trattative le conduce, degli incantatori di serpenti chiamati a convincere le anime perse del Parlamento a passare da una sponda all’altra.
Parliamo, in questi giorni, del premier Conte e dei suoi emissari, soprattutto parlamentari del M5s e fedelissimi dello staff di Palazzo Chigi. Ma si racconta anche di telefonate di alti prelati e di mosse di uomini del cosiddetto deep state italiano, presunti movimenti smentiti con tanto di sdegno dalla presidenza del Consiglio. Tutto legittimo. Si tratta dei «pontieri» che stanno cercando di mettere su l’operazione «costruttori», o «volenterosi», evocata con chiarezza in Aula da Conte prima di ottenere la fiducia a Montecitorio e a Palazzo Madama. E quindi ecco gli incontri segreti, i messaggini, le promesse, gli accordi. Con il supporto del Fatto, che il giorno dopo la fiducia risicata al Senato si beava con questo titolo di prima pagina, dedicato all’inossidabile premier: «Più lo butti giù e più si tira su». Con tanto di foto di Conte mascherinato in bella mostra. Nelle stessa prima pagina l’annotazione: «Servono 10 ex Iv e Udc per blindare l’aula e le commissioni». Via al Suq per un’altra decina di giorni o più.
Ora torniamo indietro di dieci anni. Prendiamo un commento di Travaglio datato 1 dicembre 2010. E sembra quasi che se la prenda con Conte e i suoi, animatori dell’odierno calciomercato dei senatori. «A furia di parlare di deputati venduti, si rischia di trascurare l’altrettanto nobile categoria dei compratori», l’incipit del pezzo. Non si stigmatizzavano solo i reietti alla Antonio Razzi e Domenico Scilipoti, ma pure quelli che Travaglio bollava come «acquirenti». Quindi spunta «tal Ciccio Nucara, segretario del Partito Repubblicano all’insaputa dei più». Allora incaricato di «pescare nella palude di diniani, centristi, Mpa, Union Valdotaine, Sudtiroler». Uno stagno non troppo diverso da quello in cui stanno nuotando da giorni, senza sosta, gli emissari contiani. Tra ex craxiani, ex grillini, italiani all’estero, democristiani sanniti e centristi di ogni risma. Anche alla fine del 2010 si parlava dell’Udc, ora al centro delle lusinghe di chi segue il dossier dei «volenterosi» per conto di Palazzo Chigi. Sentite il Travaglio d’epoca: «Partì la fase 2 di Mediashopping, affidata ad acquirenti ignoti (forse latitanti): comprare l’Udc siciliana, piena di condannati, inquisiti ed ex imputati». Il dialogo in questi giorni è stato bloccato da un’inchiesta di Gratteri in cui è coinvolto il segretario dell’Udc Lorenzo Cesa. Ma si tratta ancora singolarmente con due o tre parlamentari scudocrociati.
Eh sì, perché ormai siamo in uno scenario simile alla «fase 3» evocata dal Fatto nel 2010. Quella che il giornale definiva «una baraonda in cui non si capisce più chi compra e chi viene comprato». Con una differenza: adesso i presunti «acquirenti» non scandalizzano più.
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