Altro che “Rubli leghisti”, dagli Usa pioggia di Dollari per gli esponenti del PD: ma il finanziatore è “anonimo”
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È un peccato, perché ovviamente l’ufficio stampa resta muto. Così rimangono senza risposta diverse domande sulla strana storia sollevata l’altroieri con una interpellanza parlamentare da Giovanni Donzelli di Fratelli d’Italia sul fiume di soldi, quasi mezzo milione di euro, che da Social Changes è arrivato in Italia per finanziare le campagne elettorali di una serie di candidati: tutti di sinistra, e più esattamente quasi tutti del Pd, e ancor più esattamente della sinistra del partito. Recordman Brando Benifei, capogruppo Pd al Parlamento europeo, che intasca 48mila euro; a ruota Stefano Bonaccini, governatore dell’Emilia, che per le regionali riceve 30mila euro. Ma ci sono anche una sfilza di nomi semisconosciuti, alcuni beneficiati con poche migliaia di euro, altri più generosamente: come Barbara Cagnacci, candidata alle regionali in Toscana, che incassa 24mila euro: e ieri intervistata dalla Nazione dichiara candidamente «mi hanno contattato loro, io non li conoscevo». Qualcuno avrà suggerito il suo nome a sua insaputa.
Già, ma chi? Il giovane Manzoni, di fronte alla domanda se sia stato lui a indicare i nomi (tra cui quello di Bonifei, di cui è stato un acceso sostenitore) spiega «non sono autorizzato a parlare a nome dell’azienda». Ma questa, in fondo, è una curiosità marginale. La vera domanda è: da dove arrivano i soldi che Social Changes ha girato ai candidati piddini in Italia? La fondazione (o «l’azienda», come la chiama Manzoni) in America si muove nell’ala più liberal del Partito democratico, e il suo uomo di punta, Arun Chaudhary, è stato il filmaker ufficiale della Casa Bianca ai tempi della presidenza di Barack Obama. «Lavoriamo per progressisti senza paura e per campagne audaci» è lo slogan accompagnato da una immagine della battagliera Alexandria Ocasio-Cortez.
Il problema è che dove Social Chanages prenda i soldi non lo sa nessuno, perché la fondazione non rivela i nomi dei sottoscrittori. La conseguenza è che una sfilza di esponenti del Pd devono oggi le loro cariche anche a soldi di padre ignoto. In Italia, d’altronde, partiti e liste hanno il divieto di incassare finanziamenti da governi stranieri o da società con sedi all’estero. È vero che formalmente i finanziamenti di Social Changes vanno a singoli candidati, ma l’anno scorso quando Il Foglio rivelò che una candidata toscana, Federica Benifei, era appoggiata dalla fondazione Usa, la federazione locale del Pd spiegò che «è una campagna decisa dal nazionale».
Eppure non risulta che la Procura di Firenze, che pure ha indagato alacremente sui finanziamenti alla Open di Renzi, stia ficcando il naso su Social Changes, né che lo abbiano fatto le diverse Procure sparse per l’Italia che hanno concorso all’inchiesta-fiasco sui fondi della Lega. «Con il finanziamento dell’organizzazione Social Changes – spiega ieri al Giornale Giovanni Donzelli – gli esponenti del Pd hanno accettato soldi in cambio dell’ingerenza di un interesse straniero sull’Italia». In attesa che la ministra Lamorgese risponda all’interpellanza di Donzelli e del suo collega di partito Stefano Mugnai, ci sarà qualche pm disposto a muoversi?
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