Una pesante eredità di 7 questioni irrisolte e una nuova idea di uomo più vulnerabile di fronte all’emergenzialismo. Dalla paura alla censura, passando per la discriminazione, la Chiesa di Stato, i danneggiati da vaccino e la povertà.
Cosa resta dunque di quella stagione che tre anni fa, di questi tempi, vedeva il suo inizio?
Restano almeno 7 macro-problemi che condizionano ancora la nostra quotidianità e la orientano verso la prossima emergenza. Vediamole:
1) Paura. Col covid ci siamo avviati verso la civiltà del panico e dell’irrazionalità. Un’irrazionalità che ancora oggi non è spiegabile con criteri di logica. C’è stato un momento in cui per poter bere il caffè seduti al tavolino serviva il green pass, mentre se si rimaneva al bancone la carta verde non era richiesta. Che ratio aveva quel provvedimento? Nessuna, eppure il governo di allora lo aveva deciso.
E che dire del concetto di congiunti? In macchina non più di due, se si andava a trovare i nonni in un altro comune, anche tre. Gli amici? Se sono affetti stabili – disse il viceministro Sileri – vanno bene, se invece sono amici per modo di dire, compagni di sbicchierate e basta, no. Non puoi andare a trovarli. Contraddizioni evidenti della logica e del buon senso, calpestato per alimentare la paura.
Il simbolo di questa paura è stata la MASCHERINA, che è diventata un totem, un lasciapassare. Abbiamo accettato di farcela imporre persino fuori, all’aperto, mentre camminavamo a diversi metri di distanza dagli altri. Ancora oggi c’è chi crede che le mascherine possano proteggerci. Abbiamo visto – e vediamo ancora - adulti in macchina da soli indossarla, abbiamo visto Klaus Davi e tanti altri cantori dell’emergenzialismo fare il bagno al mare con la museruola Ffp2. Abbiamo visto persone con non una, ma due mascherine sul volto.
2) Censura. La narrazione pandemica ha drammaticamente intaccato il nostro concetto di libertà. Abbiamo assistito a censure di parola, censure di libertà di stampa, i social della galassia Zuckerberg hanno svolto volentieri il ruolo di poliziotti del pensiero oscurando ancora oggi chi ha provato a opporsi a questa narrazione; e poi ancora: censure nelle manifestazioni, il giornalismo mainstream ci ha inculcato nella testa neologismi d’infamia, i no mask, i no vax, i negazionisti. Tutto ha avuto il sapore di una immensa strategia orwelliana per farci rinunciare al nostro pezzetto di intangibilità.
I portuali di Trieste sono stati trattati alla stregua di guerriglieri urbani, il terrorismo mediatico si è imposto e il bollettino quotidiano è stato il metronomo delle nostre giornate, come un oracolo indiscutibile e onnisciente, con la sicumera di poter essere in grado di spiegare tutto.
Servivano immagini evocative. Ecco che il sistema politico mediatico si è incaricato di produrle: i camion-bara di Bergamo, le terapie intensive con sottofondo di respiratori meccanici, le zone off limits transennate, i centri storici blindati, Papa Bergoglio da solo in San Pietro, gli idranti contro i portuali di Trieste, le persone sbattute giù dal treno perché senza mascherina, i preti sanzionati perché dicevano messa o svolgevano processioni. Abbiamo dato la caccia ai runner sulla spiaggia non perché fossero un pericolo ma – parola del Governatore emiliano Bonaccini – perché dovevamo dare un messaggio forte.
Ma anche la libertà di fare è stata messa alla prova. A questo serviva il GREEN PASS, che è assurto a simbolo di questa censura di massa. Un lasciapassare di antico retaggio nazifascista fatto passare come presidio di libertà dai vertici dello Stato, dal Quirinale a Palazzo Chigi in giù. «Il green pass ci darà la certezza di essere insieme a persone non contagiose», disse Mario Draghi nell’introdurlo. Non era vero, non è mai stato vero e oggi lo sanno anche gli alberi...Continua su Articolo Originale...
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